lunedì 23 novembre 2009

Bondi - Saviano

di SANDRO BONDI
Caro Saviano, ho avuto il piacere di conoscerla attraverso la sua opera ammirando il coraggio nel denunciare le organizzazioni criminali della sua città e di seguire con preoccupata partecipazione i problemi che da quel coraggio sono derivati, le minacce che ha dovuto subire e che la costringono a subire limitazioni nella sua vita quotidiana. So che l'arte può assumere tante diverse connotazioni, e la scrittura può farsi veicolo di emozioni e tematiche molto differenti fra loro: può essere fonte di divertimento, di intrattenimento, di condivisione di storie personali e tante altre cose. Naturalmente la scrittura si presta anche a essere strumento di denuncia sociale e di ricerca della giustizia. Quando si uniscono il fattore emozionale, la capacità di avvincere chi legge attraverso il ritmo e lo stile del racconto e la volontà di portare alla luce realtà terribili, come quella legata alla criminalità organizzata e alla ferocia che spesso la caratterizza, allora si ha quello che definirei il "connubio perfetto". Quando si riesce ad amalgamare questi elementi si ottiene, prima ancora di tutti i successivi e meritati riconoscimenti, la laurea più importante per uno scrittore: l'approvazione del pubblico.

Se oggi mi permetto di scriverle è perché ammiro le sue qualità artistiche e la sua tempra morale. Qualità che ho visto ribadite, come ho affermato pubblicamente, durante lo speciale andato in onda nel corso della trasmissione di Fabio Fazio. In quell'occasione, lei ha "avuto il merito di mostrare come la cultura, la cultura priva di coloriture politiche, sia sempre al servizio della verità, della dignità dell'uomo, della libertà, tanto più quando la verità, la dignità dell'uomo e la sua stessa libertà sono minacciate dalle idee totalitarie e dal potere fine a sé stesso". Le confesso che ho scritto queste parole seguendo le sensazioni che lei e il suo interlocutore avete saputo trasmettere quasi con naturalezza. Lo pensavo e lo penso tuttora. E ho voluto testimoniarlo anche per sottolineare un distacco dalla dialettica dell'insulto e della contrapposizione che spesso, nel nostro Paese, porta le persone a guardare una trasmissione, o ad ascoltare un programma o le parole di un esponente politico con la maschera deformante del pregiudizio ideologico.

Non c'è nulla di più sbagliato, e per mia personale formazione e anche per carattere soffro molto per le esagerazioni di cui si nutre il nostro panorama politico e le trasmissioni che se ne occupano. Perciò quella puntata ha rappresentato un modello, la possibilità di una televisione che contribuisca alla crescita democratica del Paese. Perché la verità non ha colore, e una trasmissione di denuncia priva di pregiudizi e di forzature è come una boccata d'aria che fa piacere quando si esce da una cortina di fumo maleodorante.
Lei, caro Saviano, è onesto ed entusiasta. E penso che sia stato proprio questo sincero entusiasmo a spingerla a proporre una sorta di petizione sul quotidiano la Repubblica contro il decreto legge per il cosiddetto Processo breve. Credo assolutamente nella sua buona fede e nella sua volontà di fare qualcosa di buono per il Paese, e rispetto le sue idee anche se possono essere diverse dalle mie. Ma vorrei, proprio per questo, rivolgermi a lei chiedendole se non ritiene possibile trovare nuove vie di espressione rispetto alla propensione degli intellettuali italiani a farsi partito e farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura.

Quando l'ho ascoltata parlare di cultura in televisione, ho avuto la speranza che lei si distaccasse dall'approccio dell'intellettuale militante che nella storia del nostro Paese ha tradito la missione della cultura e spesso è diventato intolleranza ideologica verso gli stessi intellettuali non irreggimentati. La prego non tradisca la speranza che ha suscitato. Non diventi anche Lei uno dei tanti scrittori che si identificano di fatto con una parte politica, anche se non è la sua intenzione. Uno dei tanti intellettuali che finiscono per presumere di dare voce all'Italia civile contro l'Italia corrotta e incolta. Perché lei per primo sa che non è così, che la realtà, anche quella del Mezzogiorno, è molto più complessa e sfumata, non riducibile a semplificazioni politiche di comodo.
L'Italia sarà capace di diventare un Paese moderno e civile, innanzitutto se cesserà una guerra civile strisciante, se verranno meno le divisioni politiche artificiose, per lasciare posto al dialogo, all'ascolto, alla concordia e alla collaborazione fra tutte le persone di buona volontà, che si trovano in egual misura in tutte le forze politiche.

Per questo vorrei invitarla a non abbandonare il suo impegno civile e culturale tanto più limpido e ascoltato quanto più alieno da pregiudizi ideologici, e di costruire insieme un linguaggio nuovo, una nuova disposizione d'animo, il superamento di vecchie barriere che sono il primo ostacolo ad affrontare quei mali che lei combatte con tanta forza e dignità. Perché vede, se anche possiamo avere idee politiche diverse, le assicuro che ci accomuna l'amore per la verità e la faticosa ricerca delle giuste soluzioni in grado di aiutarci a costruire, ognuno offrendo il proprio contributo a una società migliore dove il bene abbia la meglio sul male e la serenità sull'odio.

repubblica.it

LA RISPOSTA DI SAVIANO
Caro ministro Sandro Bondi, la ringrazio per la sua lettera e per l'attenzione data al mio lavoro: ho apprezzato il suo tono rispettoso e dialogante non scontato di questi tempi e quindi con lo stesso tono e attitudine al dialogo le voglio rispondere. Come credo sappia, ho spesso ribadito che certe questioni non possono né devono essere considerate appannaggio di una parte politica. Ho anche sempre inteso la mia battaglia come qualcosa di diverso da una certa idea di militanza che si riconosce integralmente in uno schieramento.

Ho sempre creduto che debbano appartenere a tutti i principi che anche lei nomina - la libertà, la giustizia, la dignità dell'uomo e io aggiungo anche il diritto alla felicità in qualsiasi tipo di società si trovi a vivere. E per questo ho sempre odiato la prevaricazione del potere, che esso assuma la forma di un sistema totalitario di qualsiasi colore, o, come ho potuto sperimentare sin da adolescente, sotto la forma del sistema camorristico.

Anch'io auspico che in Italia possa tornare un clima più civile e ho più volte teso la mano oltre gli steccati politici perché sono convinto che una divisione da contrada per cui reciprocamente ci si denigra e delegittima a blocchi, sia qualcosa che faccia male.
Eppure oggi il clima in questo paese è di tensione perché ognuno sa che, a seconda della posizione che intende assumere nei confronti del governo, potrà vedere la propria vita diffamata, potrà vedere ogni tipo di denigrazione avvenire nei confronti dei propri cari, potrà vedere ostacolate le proprie possibilità lavorative.

Qualche giorno fa la Germania mi ha onorato del premio Scholl, alla memoria dei due studenti dell'organizzazione cristiana Rosa Bianca, fratello e sorella, giustiziati dai nazisti con la decapitazione per la loro opposizione pacifica, per aver solo scritto dei volantini e aver invitato i tedeschi a non farsi imbavagliare.

Tutte le persone che ho incontrato lì alla premiazione, all'Università di Monaco, erano preoccupate per quanto accade oggi in Italia nel campo della libertà di stampa e del diritto. Non era un premio di pericolosi sovversivi o di chissà quali cospiratori anti-italiani. Tutt'altro. Raccoglieva cristiani tedeschi bavaresi che commemorano i loro martiri. Tutti seriamente preoccupati quello che sta accadendo in Italia e tutti pronti a chiedermi come faccio a tenere alla libertà d'espressione eppure a continuare a lavorare in Italia.
Non è un buon segnale e, in quanto scrittore non posso che raccogliere l'imbarazzo di essere accolto come una sorta di intellettuale di un paese dove la libertà d'espressione subisce un'eccezione. Il programma da lei apprezzato ha mostrato, in prima serata, il terrore causato dal regime comunista russo, e persecuzioni castriste agli scrittori cubani e l'inferno nell'Iran di Ahmedinejad.

Tutto andato in onda in una trasmissione come "Che tempo che fa", su una rete come RaiTre, così spesso tacciata di essere faziosa, ideologizzata, asservita alla sinistra che persino un boss come Sandokan si compiaceva di chiamarla "Telekabul". Questo a dimostrare, Ministro, quanto siano spesso pretestuose e false le accuse che vengono fatte contro chi invece si prefigge il compito di raccontare per bisogno - o dovere - di verità.

Però sono altrettanto convinto che a volte, proprio per semplice senso civile, non si possa stare zitti. Che bisogna prendere posizione al costo di schierarsi. E schierarsi non significa ideologicamente. La paura che questa legge possa colpire il paese sia per i suoi effetti pratici, sia per l'ingiustizia che ratifica, in me è assolutamente reale e per niente pretestuosa.
In questi anni, ossia da quando vivo sotto scorta, ho avuto modo di poter approfondire cosa significhi, tradotto nel funzionamento di uno stato democratico, il concetto di giustizia. Ho potuto capire che non tocca solo la difesa della legalità, ma che ciò che più lo sostiene e lo rende funzionante è la salvaguardia del diritto e dello stato di diritto.

Ho deciso di pubblicare quell'appello perché la legge sul processo breve mi pare un attacco pesante - non il primo, ma quello che ritengo essere finora il più incisivo - ai danni di un bene fondamentale per tutti i cittadini italiani, di destra o di sinistra, come ho scritto e come credo veramente. E le assicuro che lo rifarei domani, senza timore di essere ascritto a una parte e di poterne pagare le conseguenze.
Non vi è nulla in quel gesto che non corrisponda a ogni altra cosa che ho fatto o detto. Le mie posizioni sono queste e del resto non potrei comportarmi diversamente. Ciò che mi spinge a raccontare, in prima serata, dei truci omicidi di due giovani donne, la cui colpa era stata unicamente l'aver manifestato in piazza, in maniera pacifica.

Ciò che mi spinge a raccontare dei crimini del comunismo in Russia e dei soprusi delle multinazionali in Africa non è un "farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura" bensì un altro demone. Quello che ha lo scopo di raccontare le verità o almeno provarci. Un'informazione scomoda per chi la da e per chi l'ascolta, la osserva, la legge. In Italia la deriva che lo stato di diritto sta prendendo è pericolosa perché ha tutte le caratteristiche dell'irreversibilità. È per questo che agisco in questo modo, perché è l'unico modo che conosco per essere scrittore, è questo l'unico modo che conosco di essere uomo.
La saluto con cordialità

repubblica.it

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