Berlusconi e Lukashenko
"L’amore del popolo bielorusso per il presidente Aleksandr Lukashenko si vede «dai risultati elettorali che sono sotto gli occhi di tutti»."
Queste le elezioni nel 2006
Elezioni in Bielorussia: “gravemente compromesse” secondo le organizzazioni di monitoraggio delle elezioni
Il PE ha invocato sanzioni contro la Bielorussia dopo che le elezioni presidenziali sono state ritenute seriamente compromesse. “Il popolo bielorusso si merita di meglio” è stato il verdetto pronunciato dagli osservatori elettorali europei dopo la controversa conferma elettorale di Alexander Lukashenko alla Presidenza bielorussa. I risultati elettorali hanno confermato Lukashenko con oltre l’82%, mentre il candidato dell’opposizione Alexander Milinkevich ha ottenuto solo il 6%.
Questo risultato è stato denunciato dall’opposizione che lo ha bollato come “farsesco” e ha chiesto una nuova tornata elettorale.
A una delegazione di membri del Parlamento europeo è stato impedito l’accesso in Bielorussia subito prima delle elezioni, quando il governo ha minacciato, con un sinistro avvertimento, di “intraprendere azioni” contro tutti coloro che avessero provato a entrare nel paese. In una dichiarazione rilasciata dopo le elezioni, il gruppo guidato dall’europarlamentare conservatore polacco Bogdan Klich ha affermato che “le elezioni si sono svolte in un’atmosfera di paura e intimidazioni, mentre le autorità minacciavano violenze contro pacifici manifestanti e condanne a morte contro coloro che chiedevano libertà di espressione e di assemblea... Possiamo quindi dichiarare che Lukashenko non può essere riconosciuto come legittimo presidente”. Il Presidente del Parlamento europeo Josep Borrell ha affermato che “il mancato rispetto delle norme elettorali internazionali, insieme con una situazione politica in costante peggioramento e la persistente violazione dei diritti civili e fondamentali del popolo bielorusso, non rimarrà privo di conseguenze per ciò che riguarda le relazioni tra l’UE e la Bielorussia”. Gli eurodeputati intendono imporre sanzioni quali il divieto di ingresso in UE per le alte cariche dello Stato in modo da non colpire la popolazione civile.
Clima di intimidazioni
L’istituzione incaricata di condurre il monitoraggio delle elezioni – l’OSCE – ha affermato in una dichiarazione che “le elezioni presidenziali bielorusse del 19 marzo non hanno rispettato i criteri imposti dall’OSCE per le elezioni democratiche... L’uso arbitrario del potere statale e gli arresti diffusi hanno violato i fondamentali diritti di assemblea, associazione ed espressione...”.
Elmar Brok, eurodeputato conservatore tedesco a capo della commissione parlamentare per gli Affari esteri ha condannato le elezioni come un “imbroglio”, alla stregua di quelle “degli anni ’40, ’50 e ’60 in Europa orientale”. Gli ha fatto eco Ursula Plassnik, ministro degli Esteri austriaco, paese che detiene la presidenza di turno dell’UE, la quale ha dichiarato che le elezioni sono state segnate da un “clima di intimidazioni”.
L’atmosfera che ha portato alle elezioni è stata caratterizzata da forti tensioni. Temendo certamente una “rivoluzione arancione”, simile a quella scatenatasi a seguito di un’elezione parimenti controversa nella vicina Ucraina nel 2004, il Presidente Lukashenko ha minacciato di “rompere il collo” a chiunque tenti un “colpo di Stato”. Una dichiarazione dei servizi di sicurezza prima delle elezioni associava l’opposizione e la società civile ai terroristi. Questo ha aumentato notevolmente il “clima di intimidazioni”, ha affermato l’OSCE. Il giorno delle elezioni è stato caratterizzato dalla forte presenza dei servizi di sicurezza e da restrizioni agli spostamenti in tutto il paese per timore di proteste organizzate.
I critici del regime hanno lamentato a gran voce il mancato accesso ai mezzi di comunicazione controllati dallo Stato, mentre decine di attivisti politici sono stati arrestati mentre si recavano al seggio. L’anno scorso è stato chiuso l’ultimo quotidiano veramente indipendente del paese, "Narodnaya Volya". Lo scorso settembre, una risoluzione del Parlamento europeo ha condannato il regime di Lukashenko per la chiusura, nel corso degli ultimi anni, di “numerosi partiti politici, 22 quotidiani e oltre 50 ONG democratiche... per aver criticato il Presidente e la sua politica”. In virtù del riconoscimento della soppressione dei media, nel 2004 il Parlamento europeo ha assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero all’Associazione dei giornalisti bielorussi. Anche gli USA hanno condannato il regime bielorusso, attribuendo a Lukashenko l’epiteto di “ultimo dittatore europeo”.
(fonte)
lunedì 30 novembre 2009
venerdì 27 novembre 2009
Processo Mills il 4 Dicembre...
NO, HA IL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Ghedini:
"Il 4 dicembre il presidente del Consiglio è legittimamente impedito, perchè ha il Consiglio dei Ministri"
ma l'importante è che lui abbia dichiarato la volontà di partecipare al processo
vedremo quando...
(fonte)
NO, HA IL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Ghedini:
"Il 4 dicembre il presidente del Consiglio è legittimamente impedito, perchè ha il Consiglio dei Ministri"
ma l'importante è che lui abbia dichiarato la volontà di partecipare al processo
vedremo quando...
(fonte)
mercoledì 25 novembre 2009
Grazie...
due post
l'Aquila: la zona rossa sette mesi dopo di Alessandro Tauro
Lo scempio di MissKappa
sono due delle centinaia di post che mi aiutano a tenermi informato
a tutti... GRAZIE
due post
l'Aquila: la zona rossa sette mesi dopo di Alessandro Tauro
Lo scempio di MissKappa
sono due delle centinaia di post che mi aiutano a tenermi informato
a tutti... GRAZIE
lunedì 23 novembre 2009
Bondi - Saviano
di SANDRO BONDI
Caro Saviano, ho avuto il piacere di conoscerla attraverso la sua opera ammirando il coraggio nel denunciare le organizzazioni criminali della sua città e di seguire con preoccupata partecipazione i problemi che da quel coraggio sono derivati, le minacce che ha dovuto subire e che la costringono a subire limitazioni nella sua vita quotidiana. So che l'arte può assumere tante diverse connotazioni, e la scrittura può farsi veicolo di emozioni e tematiche molto differenti fra loro: può essere fonte di divertimento, di intrattenimento, di condivisione di storie personali e tante altre cose. Naturalmente la scrittura si presta anche a essere strumento di denuncia sociale e di ricerca della giustizia. Quando si uniscono il fattore emozionale, la capacità di avvincere chi legge attraverso il ritmo e lo stile del racconto e la volontà di portare alla luce realtà terribili, come quella legata alla criminalità organizzata e alla ferocia che spesso la caratterizza, allora si ha quello che definirei il "connubio perfetto". Quando si riesce ad amalgamare questi elementi si ottiene, prima ancora di tutti i successivi e meritati riconoscimenti, la laurea più importante per uno scrittore: l'approvazione del pubblico.
Se oggi mi permetto di scriverle è perché ammiro le sue qualità artistiche e la sua tempra morale. Qualità che ho visto ribadite, come ho affermato pubblicamente, durante lo speciale andato in onda nel corso della trasmissione di Fabio Fazio. In quell'occasione, lei ha "avuto il merito di mostrare come la cultura, la cultura priva di coloriture politiche, sia sempre al servizio della verità, della dignità dell'uomo, della libertà, tanto più quando la verità, la dignità dell'uomo e la sua stessa libertà sono minacciate dalle idee totalitarie e dal potere fine a sé stesso". Le confesso che ho scritto queste parole seguendo le sensazioni che lei e il suo interlocutore avete saputo trasmettere quasi con naturalezza. Lo pensavo e lo penso tuttora. E ho voluto testimoniarlo anche per sottolineare un distacco dalla dialettica dell'insulto e della contrapposizione che spesso, nel nostro Paese, porta le persone a guardare una trasmissione, o ad ascoltare un programma o le parole di un esponente politico con la maschera deformante del pregiudizio ideologico.
Non c'è nulla di più sbagliato, e per mia personale formazione e anche per carattere soffro molto per le esagerazioni di cui si nutre il nostro panorama politico e le trasmissioni che se ne occupano. Perciò quella puntata ha rappresentato un modello, la possibilità di una televisione che contribuisca alla crescita democratica del Paese. Perché la verità non ha colore, e una trasmissione di denuncia priva di pregiudizi e di forzature è come una boccata d'aria che fa piacere quando si esce da una cortina di fumo maleodorante.
Lei, caro Saviano, è onesto ed entusiasta. E penso che sia stato proprio questo sincero entusiasmo a spingerla a proporre una sorta di petizione sul quotidiano la Repubblica contro il decreto legge per il cosiddetto Processo breve. Credo assolutamente nella sua buona fede e nella sua volontà di fare qualcosa di buono per il Paese, e rispetto le sue idee anche se possono essere diverse dalle mie. Ma vorrei, proprio per questo, rivolgermi a lei chiedendole se non ritiene possibile trovare nuove vie di espressione rispetto alla propensione degli intellettuali italiani a farsi partito e farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura.
Quando l'ho ascoltata parlare di cultura in televisione, ho avuto la speranza che lei si distaccasse dall'approccio dell'intellettuale militante che nella storia del nostro Paese ha tradito la missione della cultura e spesso è diventato intolleranza ideologica verso gli stessi intellettuali non irreggimentati. La prego non tradisca la speranza che ha suscitato. Non diventi anche Lei uno dei tanti scrittori che si identificano di fatto con una parte politica, anche se non è la sua intenzione. Uno dei tanti intellettuali che finiscono per presumere di dare voce all'Italia civile contro l'Italia corrotta e incolta. Perché lei per primo sa che non è così, che la realtà, anche quella del Mezzogiorno, è molto più complessa e sfumata, non riducibile a semplificazioni politiche di comodo.
L'Italia sarà capace di diventare un Paese moderno e civile, innanzitutto se cesserà una guerra civile strisciante, se verranno meno le divisioni politiche artificiose, per lasciare posto al dialogo, all'ascolto, alla concordia e alla collaborazione fra tutte le persone di buona volontà, che si trovano in egual misura in tutte le forze politiche.
Per questo vorrei invitarla a non abbandonare il suo impegno civile e culturale tanto più limpido e ascoltato quanto più alieno da pregiudizi ideologici, e di costruire insieme un linguaggio nuovo, una nuova disposizione d'animo, il superamento di vecchie barriere che sono il primo ostacolo ad affrontare quei mali che lei combatte con tanta forza e dignità. Perché vede, se anche possiamo avere idee politiche diverse, le assicuro che ci accomuna l'amore per la verità e la faticosa ricerca delle giuste soluzioni in grado di aiutarci a costruire, ognuno offrendo il proprio contributo a una società migliore dove il bene abbia la meglio sul male e la serenità sull'odio.
repubblica.it
LA RISPOSTA DI SAVIANO
Caro ministro Sandro Bondi, la ringrazio per la sua lettera e per l'attenzione data al mio lavoro: ho apprezzato il suo tono rispettoso e dialogante non scontato di questi tempi e quindi con lo stesso tono e attitudine al dialogo le voglio rispondere. Come credo sappia, ho spesso ribadito che certe questioni non possono né devono essere considerate appannaggio di una parte politica. Ho anche sempre inteso la mia battaglia come qualcosa di diverso da una certa idea di militanza che si riconosce integralmente in uno schieramento.
Ho sempre creduto che debbano appartenere a tutti i principi che anche lei nomina - la libertà, la giustizia, la dignità dell'uomo e io aggiungo anche il diritto alla felicità in qualsiasi tipo di società si trovi a vivere. E per questo ho sempre odiato la prevaricazione del potere, che esso assuma la forma di un sistema totalitario di qualsiasi colore, o, come ho potuto sperimentare sin da adolescente, sotto la forma del sistema camorristico.
Anch'io auspico che in Italia possa tornare un clima più civile e ho più volte teso la mano oltre gli steccati politici perché sono convinto che una divisione da contrada per cui reciprocamente ci si denigra e delegittima a blocchi, sia qualcosa che faccia male.
Eppure oggi il clima in questo paese è di tensione perché ognuno sa che, a seconda della posizione che intende assumere nei confronti del governo, potrà vedere la propria vita diffamata, potrà vedere ogni tipo di denigrazione avvenire nei confronti dei propri cari, potrà vedere ostacolate le proprie possibilità lavorative.
Qualche giorno fa la Germania mi ha onorato del premio Scholl, alla memoria dei due studenti dell'organizzazione cristiana Rosa Bianca, fratello e sorella, giustiziati dai nazisti con la decapitazione per la loro opposizione pacifica, per aver solo scritto dei volantini e aver invitato i tedeschi a non farsi imbavagliare.
Tutte le persone che ho incontrato lì alla premiazione, all'Università di Monaco, erano preoccupate per quanto accade oggi in Italia nel campo della libertà di stampa e del diritto. Non era un premio di pericolosi sovversivi o di chissà quali cospiratori anti-italiani. Tutt'altro. Raccoglieva cristiani tedeschi bavaresi che commemorano i loro martiri. Tutti seriamente preoccupati quello che sta accadendo in Italia e tutti pronti a chiedermi come faccio a tenere alla libertà d'espressione eppure a continuare a lavorare in Italia.
Non è un buon segnale e, in quanto scrittore non posso che raccogliere l'imbarazzo di essere accolto come una sorta di intellettuale di un paese dove la libertà d'espressione subisce un'eccezione. Il programma da lei apprezzato ha mostrato, in prima serata, il terrore causato dal regime comunista russo, e persecuzioni castriste agli scrittori cubani e l'inferno nell'Iran di Ahmedinejad.
Tutto andato in onda in una trasmissione come "Che tempo che fa", su una rete come RaiTre, così spesso tacciata di essere faziosa, ideologizzata, asservita alla sinistra che persino un boss come Sandokan si compiaceva di chiamarla "Telekabul". Questo a dimostrare, Ministro, quanto siano spesso pretestuose e false le accuse che vengono fatte contro chi invece si prefigge il compito di raccontare per bisogno - o dovere - di verità.
Però sono altrettanto convinto che a volte, proprio per semplice senso civile, non si possa stare zitti. Che bisogna prendere posizione al costo di schierarsi. E schierarsi non significa ideologicamente. La paura che questa legge possa colpire il paese sia per i suoi effetti pratici, sia per l'ingiustizia che ratifica, in me è assolutamente reale e per niente pretestuosa.
In questi anni, ossia da quando vivo sotto scorta, ho avuto modo di poter approfondire cosa significhi, tradotto nel funzionamento di uno stato democratico, il concetto di giustizia. Ho potuto capire che non tocca solo la difesa della legalità, ma che ciò che più lo sostiene e lo rende funzionante è la salvaguardia del diritto e dello stato di diritto.
Ho deciso di pubblicare quell'appello perché la legge sul processo breve mi pare un attacco pesante - non il primo, ma quello che ritengo essere finora il più incisivo - ai danni di un bene fondamentale per tutti i cittadini italiani, di destra o di sinistra, come ho scritto e come credo veramente. E le assicuro che lo rifarei domani, senza timore di essere ascritto a una parte e di poterne pagare le conseguenze.
Non vi è nulla in quel gesto che non corrisponda a ogni altra cosa che ho fatto o detto. Le mie posizioni sono queste e del resto non potrei comportarmi diversamente. Ciò che mi spinge a raccontare, in prima serata, dei truci omicidi di due giovani donne, la cui colpa era stata unicamente l'aver manifestato in piazza, in maniera pacifica.
Ciò che mi spinge a raccontare dei crimini del comunismo in Russia e dei soprusi delle multinazionali in Africa non è un "farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura" bensì un altro demone. Quello che ha lo scopo di raccontare le verità o almeno provarci. Un'informazione scomoda per chi la da e per chi l'ascolta, la osserva, la legge. In Italia la deriva che lo stato di diritto sta prendendo è pericolosa perché ha tutte le caratteristiche dell'irreversibilità. È per questo che agisco in questo modo, perché è l'unico modo che conosco per essere scrittore, è questo l'unico modo che conosco di essere uomo.
La saluto con cordialità
repubblica.it
di SANDRO BONDI
Caro Saviano, ho avuto il piacere di conoscerla attraverso la sua opera ammirando il coraggio nel denunciare le organizzazioni criminali della sua città e di seguire con preoccupata partecipazione i problemi che da quel coraggio sono derivati, le minacce che ha dovuto subire e che la costringono a subire limitazioni nella sua vita quotidiana. So che l'arte può assumere tante diverse connotazioni, e la scrittura può farsi veicolo di emozioni e tematiche molto differenti fra loro: può essere fonte di divertimento, di intrattenimento, di condivisione di storie personali e tante altre cose. Naturalmente la scrittura si presta anche a essere strumento di denuncia sociale e di ricerca della giustizia. Quando si uniscono il fattore emozionale, la capacità di avvincere chi legge attraverso il ritmo e lo stile del racconto e la volontà di portare alla luce realtà terribili, come quella legata alla criminalità organizzata e alla ferocia che spesso la caratterizza, allora si ha quello che definirei il "connubio perfetto". Quando si riesce ad amalgamare questi elementi si ottiene, prima ancora di tutti i successivi e meritati riconoscimenti, la laurea più importante per uno scrittore: l'approvazione del pubblico.
Se oggi mi permetto di scriverle è perché ammiro le sue qualità artistiche e la sua tempra morale. Qualità che ho visto ribadite, come ho affermato pubblicamente, durante lo speciale andato in onda nel corso della trasmissione di Fabio Fazio. In quell'occasione, lei ha "avuto il merito di mostrare come la cultura, la cultura priva di coloriture politiche, sia sempre al servizio della verità, della dignità dell'uomo, della libertà, tanto più quando la verità, la dignità dell'uomo e la sua stessa libertà sono minacciate dalle idee totalitarie e dal potere fine a sé stesso". Le confesso che ho scritto queste parole seguendo le sensazioni che lei e il suo interlocutore avete saputo trasmettere quasi con naturalezza. Lo pensavo e lo penso tuttora. E ho voluto testimoniarlo anche per sottolineare un distacco dalla dialettica dell'insulto e della contrapposizione che spesso, nel nostro Paese, porta le persone a guardare una trasmissione, o ad ascoltare un programma o le parole di un esponente politico con la maschera deformante del pregiudizio ideologico.
Non c'è nulla di più sbagliato, e per mia personale formazione e anche per carattere soffro molto per le esagerazioni di cui si nutre il nostro panorama politico e le trasmissioni che se ne occupano. Perciò quella puntata ha rappresentato un modello, la possibilità di una televisione che contribuisca alla crescita democratica del Paese. Perché la verità non ha colore, e una trasmissione di denuncia priva di pregiudizi e di forzature è come una boccata d'aria che fa piacere quando si esce da una cortina di fumo maleodorante.
Lei, caro Saviano, è onesto ed entusiasta. E penso che sia stato proprio questo sincero entusiasmo a spingerla a proporre una sorta di petizione sul quotidiano la Repubblica contro il decreto legge per il cosiddetto Processo breve. Credo assolutamente nella sua buona fede e nella sua volontà di fare qualcosa di buono per il Paese, e rispetto le sue idee anche se possono essere diverse dalle mie. Ma vorrei, proprio per questo, rivolgermi a lei chiedendole se non ritiene possibile trovare nuove vie di espressione rispetto alla propensione degli intellettuali italiani a farsi partito e farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura.
Quando l'ho ascoltata parlare di cultura in televisione, ho avuto la speranza che lei si distaccasse dall'approccio dell'intellettuale militante che nella storia del nostro Paese ha tradito la missione della cultura e spesso è diventato intolleranza ideologica verso gli stessi intellettuali non irreggimentati. La prego non tradisca la speranza che ha suscitato. Non diventi anche Lei uno dei tanti scrittori che si identificano di fatto con una parte politica, anche se non è la sua intenzione. Uno dei tanti intellettuali che finiscono per presumere di dare voce all'Italia civile contro l'Italia corrotta e incolta. Perché lei per primo sa che non è così, che la realtà, anche quella del Mezzogiorno, è molto più complessa e sfumata, non riducibile a semplificazioni politiche di comodo.
L'Italia sarà capace di diventare un Paese moderno e civile, innanzitutto se cesserà una guerra civile strisciante, se verranno meno le divisioni politiche artificiose, per lasciare posto al dialogo, all'ascolto, alla concordia e alla collaborazione fra tutte le persone di buona volontà, che si trovano in egual misura in tutte le forze politiche.
Per questo vorrei invitarla a non abbandonare il suo impegno civile e culturale tanto più limpido e ascoltato quanto più alieno da pregiudizi ideologici, e di costruire insieme un linguaggio nuovo, una nuova disposizione d'animo, il superamento di vecchie barriere che sono il primo ostacolo ad affrontare quei mali che lei combatte con tanta forza e dignità. Perché vede, se anche possiamo avere idee politiche diverse, le assicuro che ci accomuna l'amore per la verità e la faticosa ricerca delle giuste soluzioni in grado di aiutarci a costruire, ognuno offrendo il proprio contributo a una società migliore dove il bene abbia la meglio sul male e la serenità sull'odio.
repubblica.it
LA RISPOSTA DI SAVIANO
Caro ministro Sandro Bondi, la ringrazio per la sua lettera e per l'attenzione data al mio lavoro: ho apprezzato il suo tono rispettoso e dialogante non scontato di questi tempi e quindi con lo stesso tono e attitudine al dialogo le voglio rispondere. Come credo sappia, ho spesso ribadito che certe questioni non possono né devono essere considerate appannaggio di una parte politica. Ho anche sempre inteso la mia battaglia come qualcosa di diverso da una certa idea di militanza che si riconosce integralmente in uno schieramento.
Ho sempre creduto che debbano appartenere a tutti i principi che anche lei nomina - la libertà, la giustizia, la dignità dell'uomo e io aggiungo anche il diritto alla felicità in qualsiasi tipo di società si trovi a vivere. E per questo ho sempre odiato la prevaricazione del potere, che esso assuma la forma di un sistema totalitario di qualsiasi colore, o, come ho potuto sperimentare sin da adolescente, sotto la forma del sistema camorristico.
Anch'io auspico che in Italia possa tornare un clima più civile e ho più volte teso la mano oltre gli steccati politici perché sono convinto che una divisione da contrada per cui reciprocamente ci si denigra e delegittima a blocchi, sia qualcosa che faccia male.
Eppure oggi il clima in questo paese è di tensione perché ognuno sa che, a seconda della posizione che intende assumere nei confronti del governo, potrà vedere la propria vita diffamata, potrà vedere ogni tipo di denigrazione avvenire nei confronti dei propri cari, potrà vedere ostacolate le proprie possibilità lavorative.
Qualche giorno fa la Germania mi ha onorato del premio Scholl, alla memoria dei due studenti dell'organizzazione cristiana Rosa Bianca, fratello e sorella, giustiziati dai nazisti con la decapitazione per la loro opposizione pacifica, per aver solo scritto dei volantini e aver invitato i tedeschi a non farsi imbavagliare.
Tutte le persone che ho incontrato lì alla premiazione, all'Università di Monaco, erano preoccupate per quanto accade oggi in Italia nel campo della libertà di stampa e del diritto. Non era un premio di pericolosi sovversivi o di chissà quali cospiratori anti-italiani. Tutt'altro. Raccoglieva cristiani tedeschi bavaresi che commemorano i loro martiri. Tutti seriamente preoccupati quello che sta accadendo in Italia e tutti pronti a chiedermi come faccio a tenere alla libertà d'espressione eppure a continuare a lavorare in Italia.
Non è un buon segnale e, in quanto scrittore non posso che raccogliere l'imbarazzo di essere accolto come una sorta di intellettuale di un paese dove la libertà d'espressione subisce un'eccezione. Il programma da lei apprezzato ha mostrato, in prima serata, il terrore causato dal regime comunista russo, e persecuzioni castriste agli scrittori cubani e l'inferno nell'Iran di Ahmedinejad.
Tutto andato in onda in una trasmissione come "Che tempo che fa", su una rete come RaiTre, così spesso tacciata di essere faziosa, ideologizzata, asservita alla sinistra che persino un boss come Sandokan si compiaceva di chiamarla "Telekabul". Questo a dimostrare, Ministro, quanto siano spesso pretestuose e false le accuse che vengono fatte contro chi invece si prefigge il compito di raccontare per bisogno - o dovere - di verità.
Però sono altrettanto convinto che a volte, proprio per semplice senso civile, non si possa stare zitti. Che bisogna prendere posizione al costo di schierarsi. E schierarsi non significa ideologicamente. La paura che questa legge possa colpire il paese sia per i suoi effetti pratici, sia per l'ingiustizia che ratifica, in me è assolutamente reale e per niente pretestuosa.
In questi anni, ossia da quando vivo sotto scorta, ho avuto modo di poter approfondire cosa significhi, tradotto nel funzionamento di uno stato democratico, il concetto di giustizia. Ho potuto capire che non tocca solo la difesa della legalità, ma che ciò che più lo sostiene e lo rende funzionante è la salvaguardia del diritto e dello stato di diritto.
Ho deciso di pubblicare quell'appello perché la legge sul processo breve mi pare un attacco pesante - non il primo, ma quello che ritengo essere finora il più incisivo - ai danni di un bene fondamentale per tutti i cittadini italiani, di destra o di sinistra, come ho scritto e come credo veramente. E le assicuro che lo rifarei domani, senza timore di essere ascritto a una parte e di poterne pagare le conseguenze.
Non vi è nulla in quel gesto che non corrisponda a ogni altra cosa che ho fatto o detto. Le mie posizioni sono queste e del resto non potrei comportarmi diversamente. Ciò che mi spinge a raccontare, in prima serata, dei truci omicidi di due giovani donne, la cui colpa era stata unicamente l'aver manifestato in piazza, in maniera pacifica.
Ciò che mi spinge a raccontare dei crimini del comunismo in Russia e dei soprusi delle multinazionali in Africa non è un "farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura" bensì un altro demone. Quello che ha lo scopo di raccontare le verità o almeno provarci. Un'informazione scomoda per chi la da e per chi l'ascolta, la osserva, la legge. In Italia la deriva che lo stato di diritto sta prendendo è pericolosa perché ha tutte le caratteristiche dell'irreversibilità. È per questo che agisco in questo modo, perché è l'unico modo che conosco per essere scrittore, è questo l'unico modo che conosco di essere uomo.
La saluto con cordialità
repubblica.it
domenica 22 novembre 2009
Tabucchi querelato da Schifani
Il 19 novembre il quotidiano francese “Le Monde” ha pubblicato il testo dell’appello lanciato dall’editore Gallimard per Antonio Tabucchi. La pubblicazione, prevista per lunedì scorso, è stata ritardata a causa delle numerosissime firme che giungevano da vari paesi a sostegno di uno degli scrittori italiani più noti e stimati nel mondo.
da "Le Monde", 19 novembre 2009
L'articolo tradotto
Le democrazie vive hanno bisogno di individui liberi. Di individui coraggiosi, indipendenti, indisciplinati, che osino, che provochino, che disturbino. È così per quegli scrittori per cui la libertà di penna è indissociabile dall’idea stessa di democrazia. Da Voltaire e Victor Hugo a Camus e Sartre, passando per Zola e Mauriac, la Francia e le sue libertà sanno quanto tali libertà debbono al libero esercizio del diritto di osservare e del dovere di dare l’allarme di fronte all’opacità, le menzogne e le imposture di ogni tipo di potere. E l’Europa democratica, da quando è in costruzione, non ha mai cessato di irrobustire la libertà degli scrittori contro ogni abuso di potere e le ragioni di Stato.
Ma ora accade che in Italia questa libertà sia messa in pericolo dall’attacco smisurato di cui è oggetto Antonio Tabucchi. Il presidente del Senato italiano, Riccardo Schifani, pretende da lui in tribunale l’esorbitante somma di 1 milione e 300 mila Euro per un articolo pubblicato su “l’Unità”, giornale che, si noti, non è stato querelato. Il “reato” di Antonio Tabucchi è aver interpellato il senatore Schifani, personaggio di spicco del potere berlusconiano, sul suo passato, sui suoi rapporti di affari e sulle sue dubbie frequentazioni – questioni sulle quali costui è riluttante a dare spiegazioni. Porre domande sul percorso, la carriera e la biografia degli alti responsabili delle nostre istituzioni appartiene al necessario dovere di interrogare e alle legittime curiosità della vita democratica.
Per la precisa scelta del bersaglio (uno scrittore che non ha mai rinunciato a esercitare la propria libertà) e per la somma richiesta (una cifra astronomica per un articolo di giornale), l’obiettivo evidente è l’intimidazione di una coscienza critica e, attraverso tale intimidazione, far tacere tutti gli altri. Dalle recenti incriminazioni contro la stampa dell’opposizione, fino a questo processo intentato a uno scrittore europeo, non possiamo restare indifferenti e passivi di fronte all’offensiva dell’attuale potere italiano contro la libertà di opinione, di critica e di interrogazione. Per questo testimoniamo la nostra solidarietà a Antonio Tabucchi e vi chiediamo di unirvi a noi firmando massicciamente questo appello.
firma l'appello
(fonte - micromega)
Il 19 novembre il quotidiano francese “Le Monde” ha pubblicato il testo dell’appello lanciato dall’editore Gallimard per Antonio Tabucchi. La pubblicazione, prevista per lunedì scorso, è stata ritardata a causa delle numerosissime firme che giungevano da vari paesi a sostegno di uno degli scrittori italiani più noti e stimati nel mondo.
da "Le Monde", 19 novembre 2009
L'articolo tradotto
Le democrazie vive hanno bisogno di individui liberi. Di individui coraggiosi, indipendenti, indisciplinati, che osino, che provochino, che disturbino. È così per quegli scrittori per cui la libertà di penna è indissociabile dall’idea stessa di democrazia. Da Voltaire e Victor Hugo a Camus e Sartre, passando per Zola e Mauriac, la Francia e le sue libertà sanno quanto tali libertà debbono al libero esercizio del diritto di osservare e del dovere di dare l’allarme di fronte all’opacità, le menzogne e le imposture di ogni tipo di potere. E l’Europa democratica, da quando è in costruzione, non ha mai cessato di irrobustire la libertà degli scrittori contro ogni abuso di potere e le ragioni di Stato.
Ma ora accade che in Italia questa libertà sia messa in pericolo dall’attacco smisurato di cui è oggetto Antonio Tabucchi. Il presidente del Senato italiano, Riccardo Schifani, pretende da lui in tribunale l’esorbitante somma di 1 milione e 300 mila Euro per un articolo pubblicato su “l’Unità”, giornale che, si noti, non è stato querelato. Il “reato” di Antonio Tabucchi è aver interpellato il senatore Schifani, personaggio di spicco del potere berlusconiano, sul suo passato, sui suoi rapporti di affari e sulle sue dubbie frequentazioni – questioni sulle quali costui è riluttante a dare spiegazioni. Porre domande sul percorso, la carriera e la biografia degli alti responsabili delle nostre istituzioni appartiene al necessario dovere di interrogare e alle legittime curiosità della vita democratica.
Per la precisa scelta del bersaglio (uno scrittore che non ha mai rinunciato a esercitare la propria libertà) e per la somma richiesta (una cifra astronomica per un articolo di giornale), l’obiettivo evidente è l’intimidazione di una coscienza critica e, attraverso tale intimidazione, far tacere tutti gli altri. Dalle recenti incriminazioni contro la stampa dell’opposizione, fino a questo processo intentato a uno scrittore europeo, non possiamo restare indifferenti e passivi di fronte all’offensiva dell’attuale potere italiano contro la libertà di opinione, di critica e di interrogazione. Per questo testimoniamo la nostra solidarietà a Antonio Tabucchi e vi chiediamo di unirvi a noi firmando massicciamente questo appello.
firma l'appello
(fonte - micromega)
lunedì 16 novembre 2009
PRESIDENTE, RITIRI QUELLA NORMA DEL PRIVILEGIO
SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul "processo breve" e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.
Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare così anche la speranza di chi da anni attende giustizia.
Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.
ROBERTO SAVIANO
per la firma
SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul "processo breve" e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.
Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare così anche la speranza di chi da anni attende giustizia.
Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.
ROBERTO SAVIANO
per la firma
venerdì 13 novembre 2009
giovedì 12 novembre 2009
Cirio, Parmalat, Antonveneta...magari fosse solo Mills
Uno dei crac finanziari più grandi d'Europa, lo scandalo Parmalat che ha coinvolto oltre 100mila risparmiatori con un buco da 14 miliardi di euro, sarebbe già prescritto. E così altri processi, come quello Cirio a Roma. Difficilmente invece arriverebbero alla fine Antonveneta a Milano, il processo Eternit a Torino o lo scandalo rifiuti a Napoli. La mannaia della prescrizione breve grava su tutti i più celebri dibattimenti in corso, nei quali sono imputati nomi altisonanti, come l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi, ex imprenditori del calibro di Calisto Tanzi e Sergio Cragnotti, ma anche politici come Antonio Bassolino.
I calcoli sono semplici. Se il processo deve durare al massimo sei anni e vengono assegnati due anni di tempo per ogni grado di giudizio (in Italia ne sono previsti tre), già finire il primo grado diventa un'impresa ardua. Anche perché l'inizio del processo verrebbe calcolato non dalla prima udienza dibattimentale, ma dalla richiesta di rinvio a giudizio. E in media i processi italiani durano otto anni.
Il rinvio a giudizio del crac Parmalat è avvenuto a luglio del 2007. Il giudice di Parma, Domenico Truppa, ha mandato a processo Calisto Tanzi e altre 22 persone per i reati, a seconda delle posizioni, di concorso in bancarotta e associazione a delinquere.
La prima udienza è avvenuta a marzo 2008 e ora si è in pieno dibattimento. Secondo i nuovi calcoli, il processo risulterebbe già prescritto da luglio di quest'anno con buona pace dei danneggiati.
Scaduto (la richiesta è del maggio 2007) anche il processo per aggiotaggio in corso a Milano, dove tra gli imputati figurano le banche americane Citigroup e Morgan Stanley, la svizzera Ubs e la tedesca Deutsche Bank.
La stessa sorte toccherebbe al crac Cirio, la cui richiesta di rinvio a giudizio porta la data del 25 settembre 2007. Ironia della sorte, la prima udienza è avvenuta in contemporanea con il processo Parmalat, e ora entrambi i processi potrebbero avere anche la stessa fine. Nel processo sono imputati Sergio Cragnotti, Cesare Geronzi e l'ex banchiere Gianpiero Fiorani.
Rischiano invece di non arrivare al traguardo altri processi avviati da tempo. O ancora processi appena avviati, ma con un alto numero di imputati, una "pecca" che associata alla rarità delle udienze ne pregiudica la possibilità di arrivare alla fine. Sono i casi Eternit a Torino, dove il rinvio a giudizio è del luglio 2009, ma le parti offese sono oltre 2900, Antonveneta (maggio 2008) a Milano, o lo scandalo rifiuti a Napoli. A marzo 2008 il gup partenopeo Marcello Piscopo ha chiesto il giudizio per Bassolino, commissario per l'emergenza rifiuti e i suoi vice, Giulio Facchi e Raffaele Vanoli.
(fonte)
Oltre ovviamente ai processi di Berlusconi... ma a questo punto ridategli il lodo Alfano...
almeno così gli altri processi possono continuare
il testo della "leggina"...
Uno dei crac finanziari più grandi d'Europa, lo scandalo Parmalat che ha coinvolto oltre 100mila risparmiatori con un buco da 14 miliardi di euro, sarebbe già prescritto. E così altri processi, come quello Cirio a Roma. Difficilmente invece arriverebbero alla fine Antonveneta a Milano, il processo Eternit a Torino o lo scandalo rifiuti a Napoli. La mannaia della prescrizione breve grava su tutti i più celebri dibattimenti in corso, nei quali sono imputati nomi altisonanti, come l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi, ex imprenditori del calibro di Calisto Tanzi e Sergio Cragnotti, ma anche politici come Antonio Bassolino.
I calcoli sono semplici. Se il processo deve durare al massimo sei anni e vengono assegnati due anni di tempo per ogni grado di giudizio (in Italia ne sono previsti tre), già finire il primo grado diventa un'impresa ardua. Anche perché l'inizio del processo verrebbe calcolato non dalla prima udienza dibattimentale, ma dalla richiesta di rinvio a giudizio. E in media i processi italiani durano otto anni.
Il rinvio a giudizio del crac Parmalat è avvenuto a luglio del 2007. Il giudice di Parma, Domenico Truppa, ha mandato a processo Calisto Tanzi e altre 22 persone per i reati, a seconda delle posizioni, di concorso in bancarotta e associazione a delinquere.
La prima udienza è avvenuta a marzo 2008 e ora si è in pieno dibattimento. Secondo i nuovi calcoli, il processo risulterebbe già prescritto da luglio di quest'anno con buona pace dei danneggiati.
Scaduto (la richiesta è del maggio 2007) anche il processo per aggiotaggio in corso a Milano, dove tra gli imputati figurano le banche americane Citigroup e Morgan Stanley, la svizzera Ubs e la tedesca Deutsche Bank.
La stessa sorte toccherebbe al crac Cirio, la cui richiesta di rinvio a giudizio porta la data del 25 settembre 2007. Ironia della sorte, la prima udienza è avvenuta in contemporanea con il processo Parmalat, e ora entrambi i processi potrebbero avere anche la stessa fine. Nel processo sono imputati Sergio Cragnotti, Cesare Geronzi e l'ex banchiere Gianpiero Fiorani.
Rischiano invece di non arrivare al traguardo altri processi avviati da tempo. O ancora processi appena avviati, ma con un alto numero di imputati, una "pecca" che associata alla rarità delle udienze ne pregiudica la possibilità di arrivare alla fine. Sono i casi Eternit a Torino, dove il rinvio a giudizio è del luglio 2009, ma le parti offese sono oltre 2900, Antonveneta (maggio 2008) a Milano, o lo scandalo rifiuti a Napoli. A marzo 2008 il gup partenopeo Marcello Piscopo ha chiesto il giudizio per Bassolino, commissario per l'emergenza rifiuti e i suoi vice, Giulio Facchi e Raffaele Vanoli.
(fonte)
Oltre ovviamente ai processi di Berlusconi... ma a questo punto ridategli il lodo Alfano...
almeno così gli altri processi possono continuare
il testo della "leggina"...
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mercoledì 11 novembre 2009
e dopo Minzolini... la Boniver
L'argomento era tornato d'attualità nei giorni scorsi. Anche Gianfranco Fini, dopo il vertice con Silvio Berlusconi, aveva affermato che il tema andava affrontato. E così il Pdl ha deciso di presentare una proposta di legge costituzionale per il ripristino dell'immunità parlamentare. L'iniziativa è del deputato Margherita Boniver.
«L'immunità, che esiste in molti ordinamenti europei, nonchè al Parlamento europeo - ha detto la Boniver - rappresentava uno dei pilastri della Costituzione italiana. Fu cancellata con un incredibile atto di vigliaccheria dall'Assemblea di Palazzo Madama nell'ottobre del 1993 in un clima di pesante intimidazione. La proposta di legge composta di un solo articolo ripristina - ha concluso Boniver - un istituto volto a tutelate l'interesse della collettività, prevenendo eventuali condizionamenti del potere giudiziario sullo svolgimento della dialettica politica». Padre costituente poteva immaginare che quello strumento eccezionale sarebbe stato abusato per proteggere esponenti della maggioranza da processi per reati comuni e gravissimi, per giunta commessi al di fuori delle loro funzioni, e addirittura prima di esercitarle.
(fonte)
neanche l'evidenza li fermerà...
L'argomento era tornato d'attualità nei giorni scorsi. Anche Gianfranco Fini, dopo il vertice con Silvio Berlusconi, aveva affermato che il tema andava affrontato. E così il Pdl ha deciso di presentare una proposta di legge costituzionale per il ripristino dell'immunità parlamentare. L'iniziativa è del deputato Margherita Boniver.
«L'immunità, che esiste in molti ordinamenti europei, nonchè al Parlamento europeo - ha detto la Boniver - rappresentava uno dei pilastri della Costituzione italiana. Fu cancellata con un incredibile atto di vigliaccheria dall'Assemblea di Palazzo Madama nell'ottobre del 1993 in un clima di pesante intimidazione. La proposta di legge composta di un solo articolo ripristina - ha concluso Boniver - un istituto volto a tutelate l'interesse della collettività, prevenendo eventuali condizionamenti del potere giudiziario sullo svolgimento della dialettica politica».
la risposta di Travaglio a Minzolini e indirettamente alla Boniver
(Da il Fatto Quotidiano Marco Travaglio)
...Poi Menzognini ha sostenuto che l’immunità copre i deputati anche in Germania, Inghilterra, Spagna e Parlamento europeo. Non è vero. In Inghilterra non c’è alcuna immunità parlamentare, né per le indagini né per gli arresti (l’anno scorso un deputato finì in carcere). In Germania l’immunità, pur prevista, non viene mai esercitata, tant’è che il Parlamento all’inizio di ogni legislatura autorizza preventivamente e automaticamente le eventuali indagini a carico di suoi membri (due anni fa un deputato fu addirittura perquisito nel suo ufficio al Bundestag). Idem in Spagna, dove mai in trent’anni le Cortes hanno negato un’autorizzazione a procedere (tranne nel caso di un ex giudice divenuto deputato, accusato di aver diffuso per sbaglio la foto del fratello di un indagato al posto di quella dell’indagato). Gli europarlamentari godono delle immunità previste (le rare volte che lo sono) nei rispettivi paesi di provenienza. Menzognini racconta che i nostri Padri costituenti avevano previsto l’immunità per sottrarre gli eletti dallo strapotere della magistratura. Falso anche questo: prevedevano l’autorizzazione a procedere per evitare che giudici troppo vicini al governo (si veniva dal fascismo) perseguitassero esponenti dell’opposizione per reati politici, tant’è che era consentito negarla solo in caso di evidente persecuzione politica (fumus persecutionis). Nessun(fonte)
neanche l'evidenza li fermerà...
martedì 10 novembre 2009
lunedì 9 novembre 2009
giovedì 5 novembre 2009
Banda Larga
19 ottobre...Brunetta fiducioso sulla banda larga
Il ministro per l'amministrazione pubblica e l'innovazione, Renato Brunetta, dopo aver promesso, qualche settimana fa, la posta elettronica certificata per tutti, ora si dimostra ottimista rispetto alla diffusione della banda larga. In un'intervista rilasciata al quotidiano torinese La Stampa, ha spiegato che il progetto per garantire Internet a due mega di velocità in tutta Italia, essenziale all'obiettivo più allargato di creare un rapporto più diretto tra cittadini e istituzioni, dovrebbe costare 1,87 miliardi di euro, e 800 milioni saranno resi disponibili dal Cipe (Comitato Interministeriale per la programmazione economica) entro la fine del 2009.
5 novembre 2011...Letta
I fondi previsti dal Governo per il piano Romani per il superamento del digital divide e lo sviluppo della banda larga saranno congelati fino alla fine della crisi.
"I soldi non li abbiamo ne' dirottati, ne' sciupati - ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi - ci siamo presi un momento di riflessione e di analisi in funzione della diversa scala di priorita' che poteva nascere dalla crisi".
Letta ha spiegato che gli 800 milioni ancora non approvati dal Cipe verranno stanziati "quando avremo la certezza che quelle risorse non serviranno per la protezione sociale o per l'occupazione, che sono le nostre principali priorita'". Superata la crisi, ha concluso Letta, "allora la prima delle nostre priorita' sara' la banda larga, che puo' essere motore di sviluppo del nostro Paese"
Non sono passati anni, ma meno di un mese...
19 ottobre...Brunetta fiducioso sulla banda larga
Il ministro per l'amministrazione pubblica e l'innovazione, Renato Brunetta, dopo aver promesso, qualche settimana fa, la posta elettronica certificata per tutti, ora si dimostra ottimista rispetto alla diffusione della banda larga. In un'intervista rilasciata al quotidiano torinese La Stampa, ha spiegato che il progetto per garantire Internet a due mega di velocità in tutta Italia, essenziale all'obiettivo più allargato di creare un rapporto più diretto tra cittadini e istituzioni, dovrebbe costare 1,87 miliardi di euro, e 800 milioni saranno resi disponibili dal Cipe (Comitato Interministeriale per la programmazione economica) entro la fine del 2009.
5 novembre 2011...Letta
I fondi previsti dal Governo per il piano Romani per il superamento del digital divide e lo sviluppo della banda larga saranno congelati fino alla fine della crisi.
"I soldi non li abbiamo ne' dirottati, ne' sciupati - ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi - ci siamo presi un momento di riflessione e di analisi in funzione della diversa scala di priorita' che poteva nascere dalla crisi".
Letta ha spiegato che gli 800 milioni ancora non approvati dal Cipe verranno stanziati "quando avremo la certezza che quelle risorse non serviranno per la protezione sociale o per l'occupazione, che sono le nostre principali priorita'". Superata la crisi, ha concluso Letta, "allora la prima delle nostre priorita' sara' la banda larga, che puo' essere motore di sviluppo del nostro Paese"
Non sono passati anni, ma meno di un mese...
mercoledì 4 novembre 2009
Cominciamo bene....
È molto probabile che il prossimo 16 novembre ci sia una falsa ripartenza del processo per i presunti fondi neri relativi ai diritti tv di Mediaset, dove tra gli imputati c’è il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
In data 2 novembre i difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo hanno depositato nella cancelleria della prima sezione del Tribunale di Milano un’istanza in cui invocano il legittimo impedimento del premier ad essere in aula a causa della concomitanza con il convegno internazionale della Fao sulla sicurezza alimentare che si svolgerà a Roma nei giorni che vanno dal 16 al 18 novembre. Ghedini e Longo spiegano che il premier intende «partecipare direttamente a ogni udienza», facendo esplicito riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale che aveva bocciato il lodo Alfano, la norma che aveva fatto sospendere il processo il 28 settembre del 2008.
La Consulta infatti ha invitato i giudici nel preparare il calendario delle udienze a considerare gli impegni istituzionali del premier al fine di contemperare le esigenze di chi ricopre importantissime funzioni pubbliche e quelle dell’amministrazione della giustizia. All’istanza i legali di Berlusconi hanno allegato il programma del convegno della Fao, a ulteriore dimostrazione dell’impossibilità del capo del governo, imputato di frode fiscale, a essere presente al processo. Va ricordato poi che a invocare un legittimo impedimento è anche l’avvocato Roberto Pisano, difensore di Frank Agrama, l’uomo d’affari di origine egiziana del quale secondo la procura di Milano Berlusconi sarebbe stato il socio occulto nella creazione e nella gestione di fondi extra bilancio. Pisano sarà impegnato a Parma in uno dei tronconi processuali della vicenda relativa al crac Parmalat.
I giudici, presidente Edoardo D’Avossa, a latere Maria Teresa Guadagnino e Irene Lupo, dovranno decidere se rinviare o meno l’udienza e va considerato che con ogni probabilità non sarà facile preparare già il 16 novembre il calendario del processo perchè i legali del premier avranno bisogno di tempo per parlare con il loro assistito alla luce degli impegni istituzionali che lo stesso avrà nei prossimi mesi.
Va ricordato che finora Berlusconi non aveva partecipato a una sola udienza del processo tanto che risulta contumace. Le udienze hanno fin qui esaurito i testi del pm e si tratta di passare all’esame degli imputati. Seguiranno i testi della difesa. Prima di arrivare alla sentenza ci vorranno comunque diversi mesi, legittimi impedimenti permettendo. Inoltre il processo avrà quasi sicuramente un imputato in più, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, anche lui imputato di frode fiscale in uno stralcio.
vediamo quando farà la sua prima comparsa...
È molto probabile che il prossimo 16 novembre ci sia una falsa ripartenza del processo per i presunti fondi neri relativi ai diritti tv di Mediaset, dove tra gli imputati c’è il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
In data 2 novembre i difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo hanno depositato nella cancelleria della prima sezione del Tribunale di Milano un’istanza in cui invocano il legittimo impedimento del premier ad essere in aula a causa della concomitanza con il convegno internazionale della Fao sulla sicurezza alimentare che si svolgerà a Roma nei giorni che vanno dal 16 al 18 novembre. Ghedini e Longo spiegano che il premier intende «partecipare direttamente a ogni udienza», facendo esplicito riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale che aveva bocciato il lodo Alfano, la norma che aveva fatto sospendere il processo il 28 settembre del 2008.
La Consulta infatti ha invitato i giudici nel preparare il calendario delle udienze a considerare gli impegni istituzionali del premier al fine di contemperare le esigenze di chi ricopre importantissime funzioni pubbliche e quelle dell’amministrazione della giustizia. All’istanza i legali di Berlusconi hanno allegato il programma del convegno della Fao, a ulteriore dimostrazione dell’impossibilità del capo del governo, imputato di frode fiscale, a essere presente al processo. Va ricordato poi che a invocare un legittimo impedimento è anche l’avvocato Roberto Pisano, difensore di Frank Agrama, l’uomo d’affari di origine egiziana del quale secondo la procura di Milano Berlusconi sarebbe stato il socio occulto nella creazione e nella gestione di fondi extra bilancio. Pisano sarà impegnato a Parma in uno dei tronconi processuali della vicenda relativa al crac Parmalat.
I giudici, presidente Edoardo D’Avossa, a latere Maria Teresa Guadagnino e Irene Lupo, dovranno decidere se rinviare o meno l’udienza e va considerato che con ogni probabilità non sarà facile preparare già il 16 novembre il calendario del processo perchè i legali del premier avranno bisogno di tempo per parlare con il loro assistito alla luce degli impegni istituzionali che lo stesso avrà nei prossimi mesi.
Va ricordato che finora Berlusconi non aveva partecipato a una sola udienza del processo tanto che risulta contumace. Le udienze hanno fin qui esaurito i testi del pm e si tratta di passare all’esame degli imputati. Seguiranno i testi della difesa. Prima di arrivare alla sentenza ci vorranno comunque diversi mesi, legittimi impedimenti permettendo. Inoltre il processo avrà quasi sicuramente un imputato in più, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, anche lui imputato di frode fiscale in uno stralcio.
vediamo quando farà la sua prima comparsa...
domenica 1 novembre 2009
La camera chiude fino al 9 novembre
E' giusto ricordare che:
Con oltre 5 mila euro di stipendio mensile, sommati agli 8 mila euro tra spese di rappresentanza e diaria, i parlamentari che popolano le aule di Camera e Senato possono maturare retribuzioni superiori ai 20 mila euro in un solo mese, senza considerare il fitto sottobosco di benefit e agevolazioni integrative.
beh... è bello sapere che i nostri soldi sono spesi bene
L'Aula della Camera chiude i battenti per dieci giorni. Questa la decisione presa dalla conferenza dei capigruppo, che ha stabilito che ricomincerà a lavorare il 9 novembre con la riforma della legge finanziaria.
“Una delle ragioni per le quali non è possibile calendarizzare in Aula progetti di legge di iniziativa parlamentare”, ha spiegato Fini, “deriva dal fatto che questi non possono essere licenziati dalle commissioni per mancanza di copertura finanziaria”.
“Una delle ragioni per le quali non è possibile calendarizzare in Aula progetti di legge di iniziativa parlamentare”, ha spiegato Fini, “deriva dal fatto che questi non possono essere licenziati dalle commissioni per mancanza di copertura finanziaria”.
Il presidente della Camera non manca di critiche, sottolineando come in questo modo possano di fatto essere esaminati soltanto i decreti governativi.
Protesta delle opposizioni
La decisione di rinviare i lavori della Camera alla prossima settimana è stata contestata da tutti i partiti di opposizione. “Dopo che per tre settimane abbiamo votato solo mozioni e un decreto, questo stop è l'ennesima dimostrazione che le proposte di legge parlamentare oggettivamente non riescono ad approdare in Aula per mancanza di copertura. È un problema oggettivo che deve sciogliere il governo”: ha detto Erminio Quartiani del Pd.
Fortemente critici anche Borghesi, Donadi, e Antonio Di Pietro, dell’Italia dei Valori, che in una nota congiunta osservano: “L'Italia va a rotoli, i cittadini non arrivano alla fine del mese e la Camera cosa fa? Chiude i battenti per una settimana, invece di cominciare l'esame della legge di bilancio. L'Italia dei Valori contesta fortemente tale decisione che è stata avallata da tutti gli altri gruppi”.
Critico per anche Michele Vietti dell'Udc, anche se, dice, “non posso non notare che anche se avessimo lavorato non avremmo avuto provvedimenti da esaminare”.
(fonte)
Fortemente critici anche Borghesi, Donadi, e Antonio Di Pietro, dell’Italia dei Valori, che in una nota congiunta osservano: “L'Italia va a rotoli, i cittadini non arrivano alla fine del mese e la Camera cosa fa? Chiude i battenti per una settimana, invece di cominciare l'esame della legge di bilancio. L'Italia dei Valori contesta fortemente tale decisione che è stata avallata da tutti gli altri gruppi”.
Critico per anche Michele Vietti dell'Udc, anche se, dice, “non posso non notare che anche se avessimo lavorato non avremmo avuto provvedimenti da esaminare”.
(fonte)
E' giusto ricordare che:
Con oltre 5 mila euro di stipendio mensile, sommati agli 8 mila euro tra spese di rappresentanza e diaria, i parlamentari che popolano le aule di Camera e Senato possono maturare retribuzioni superiori ai 20 mila euro in un solo mese, senza considerare il fitto sottobosco di benefit e agevolazioni integrative.
beh... è bello sapere che i nostri soldi sono spesi bene
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